Con il polverone sollevato dal documentario della emittente televisiva tedesca ARD che accusa la IAAF di aver coperto numerosi casi di doping, anche il direttore generale della WADA (World Anti-Doping Agency) David Howman si è sentito in dovere di definire meglio la situazione, soprattutto dopo il ciclone che ha colpito Paula Radcliffe.
“E’ un peccato che gli atleti debbano sentirsi coinvolti e che debbano difendere la loro posizione” ha comunicato sul sito dell’agenzia, continuando dicendo che “la WADA ha un processo chiaro e definito nel Codice Anti-Doping che protegge gli atleti. […] Le nostre azioni devono rimanere imparziali”.
Inoltre ci tiene a sottolineare che tutti i dati trapelati dai database sono antecedenti al 2009, anno in cui è stato introdotto il passaporto biologico, e che non possono essere assolutamente utilizzati da soli per trarre conclusioni sull’utilizzo o meno di sostanze dopanti.
D’altronde anche test anomali effettuati all’interno del passaporto biologico non possono essere direttamente segnale di doping. I dati vanno valutati nel loro contesto globale da ben tre esperti diversi, e per avere un caso devono essere tutti e tre d’accordo.
Conclude inoltre dicendo che c’è una commissione indipendente che si sta occupando della questione. La commissione ha anche accesso ai dati, al contrario della WADA, e sta verificando tutte le informazioni in possesso della ARD.
Il database su cui è stato basato il documentario raccogliere 12.000 analisi del sangue effettuate tra il 2001 e il 2012 su 5000 atleti. GUARDA IL DOCUMENTARIO COMPLETO
Foto AP Photo/Bela Szandelszky