Sembra di rivedere Gabiela Andersen nella maratona Olimpica di Los Angeles 1984. Un rettilineo lunghissimo il suo, dentro lo stadio statunitense, per raggiungere il traguardo e portare a termine la propria avventura lunga 42195 metri. Se le avessero proposto di ritirarsi o qualcuno l’avesse aiutata, squalificandola come successe al maratoneta più famoso d’italia, Dorando Pietri nell’edizione dei Giochi del 1908 a Londra, Gabriela non avrebbe gradito, anche se era a rischio la sua incolumità.
Il tema divide l’opinione pubblica e i più, si schierano contro l’organizzazione, che sembra non essere intervenuta tempestivamente quando Domenica mattina, il keniano Eliud Magut si avviava a terminare la propria fatica in una grave crisi che lo costringeva a stento a camminare.
Critiche che possono essere mosse solamente da un popolo di simpatizzanti che guardano l’atletica in televisione o che al massimo si limitano a praticarla 2 o 3 volte a settimana se i figli o gli impegni lavorativi glielo permettono. Ma qui stiamo parlando di vita, passione e scelte inevitabili che i keniani, devono prendere al riguardo della loro esistenza.
Non parlo solo di Eliud, che certamente è solo stato un pò azzardato nel sottovalutare i rifornimenti, abbeverandosi solo di acqua e probabilmente non introducendo la “benzina” sufficente a terminare in forze, ma di tutti coloro che mettono la loro vita al servizio dell’atletica.
Questo atleta come tanti suoi connazionali, probabilmente ha una sola missione : correre forte. Non per “fuggire dai leoni” come gli stessi professionisti del divano, che criticano gli applausi e l’incitamento del pubblico padovano potrebbero pensare, ma probabilmente per avere un futuro lavorativo, che in kenia, senza la corsa di maratona, probabilmente sarebbe un miraggio.
Vuole finire Eliud. Vuole arrivare al traguardo, perchè ha dedicato ogni singolo minuto della sua esistenza per correre più forte e ancora più forte. Perché solo chi ha fatto i sacrifici che questo nobile sport richiede per essere il migliore può capire che quasi nessuna difficoltà deve poterci fermare e farci desistere dal perseguire il nostro obiettivo, perchè altrimenti saremmo tutti sul divano a criticare Padova e la sua maratona, perché al primo segno di crisi il ragazzo non si è fermato.
Mi indigno per questa mancanza di lucidità. Si mandano tranquillamente operai dentro le betoniere, a costruire palazzi altissimi a rischiare la vita e a morire per un lavoro, ma Eliud non lo può fare e deve essere fermato? Molti keniani che affrontano la maratona, stanno lavorando e rischiano come moltissimi lavoratori che svolgono un mestiere normale.
Che poi ci sia del voyerismo e del presunto spettacolo in tutto questo, è compreso nel circo di ogni evento che si rispetti. Il nostro tempo è affamato di novità e di varietà in ogni avvenimento che si rispetti e questa escalation ci porta a richiederne sempre di più.
Bisogna andare sempre più forte.
Bisogna andare sempre più veloce.
Bisogna vincere soffrendo il più possibile per garantire spettacolo.
Come facciamo a stupirci che tutto questo poi, si trasformi in doping?
I padovani, accorsi sulle strade della maratona, chiedevano emozioni dalla maratona della loro città e la vicenda del keniano è stata un motivo in più per appassionarsi, per sostenere a gran voce la volontà dell’atleta di completare la fatica per cui ha lavorato mesi. Non c’è nulla di sbagliato in questo.
Ho sentito parlare di manager sfruttatori e allenatori incoscenti. Nulla di tutto questo, anzi: la struttura che c’è dietro Magut gli da la possibilità di costruirsi una vita migliore, una vita lontano dalla povertà. Per questo vediamo questi atleti partire a ritmi che non sanno neanche se potranno sostenere fino alla fine, ma è una corsa verso l’affermazione, una corsa per fuggire dalla povertà, una sorta di riscatto.
Eliud Magut : non sarai arrivato al traguardo ma ci hai provato fin quando potevi, fin quando le forze ti hanno consentito di cadere e rialzarti, fin quando quella barella stremato, non ti ha condotto al più vicino ospedale. Per me non sei un eroe, ma solamente uno che come tutti noi sa, che quando ci metti tutto, nessuno deve poterti fermare!
Gentile Luigi, mi permetto di dare una mia impressione che non vuole essere assolutamente una critica al Tuo pensiero scritto dove dici: Critiche che possono essere mosse solamente da un popolo di simpatizzanti che guardano l’atletica in televisione o che al massimo si limitano a praticarla 2 o 3 volte a settimana se i figli o gli impegni lavorativi glielo permettono. Uguale si afferma dopo una partita di calcio dove tutti me compreso si sentono tecnico o arbitro. Il secondo periodo “non volermelo” lo boccio perchè dici: Ma qui stiamo parlando di vita, passione e scelte inevitabili che i keniani, devono prendere al riguardo della loro esistenza. Proprio la parola Vita (uguale a dignità) è stata negata all’atleta in difficoltà dal sig… che lo seguiva in bici ( forse il tecnico o il procuratore) indifferente al dramma, invita in modo burbero meglio dire irriverente ad alzarsi e continuare dopo aver assistito a sbandamenti e varie cadute per svenimenti da trauma. Credo che le persone (me compreso) hanno criticato l’accaduto legittimamente pur non essendo qualificate, oppure perché podisti della domenica con intelligenza hanno capito la criticità che esprimevano gli occhi di Eliud Magut vivendo quel momento di grave difficoltà “dell’uomo” critici e indignati perché riconoscono all’atletica etica, risultati e fascino e non lo sport dei gladiatori. Sono d’accordo con Te che questi ragazzi di colore (caso vuole Keniani) come ogni uomo ha passione e scelta. In altre occasioni quasi simili se non peggio mi sono chiesto: In Italia questa passione e scelta “Importata” sport e sacrifici di questi ragazzi a beneficio di chi e perché?
Peppe Sacco un modesto appassionato.
Ciao Peppe, magari forse ho tagliato l’articolo in modo troppo “dispregiativo” nei confronti del popolo degli appassionati non praticanti e prossimamente starò più attento in quanto siete proprio VOI il nostro pubblico e quello che in parte foraggia lo sport attraverso abbonamenti sky, biglietti allo stadio, etc etc. Esclusi i toni, non varia il concetto che volevo esprimere : la tua visione di appassionato è diversa da quella della persona che era in bicicletta, che a sua volta è diversa da quella di chi corre. Siccome io corro, mi sono posto nella testa del keniano e di ogni qualsiasi corridore che ha il concetto di “non mollare mai”, ritenendo che il comportamento di Magut è un pò il richiamo a Filippide che se non ricordo male in una delle ipotesi arrivate sino a noi, dopo essere arrivato a Maratona, morì per lo sforzo! Peppe, come dico sempre io “l’atletica è una cosa seria!”