Facciamo un velocissimo riassunto: La Procura antidoping, sulla base dell’indagine “Olimpia” svolta dalla Procura di Bolzano, ha deferito 26 atleti con richiesta di squalifica di 2 anni per “elusione, rifiuto e omissione di sottoporsi ai prelievi dei campioni biologici”, come previsto dall’articolo 2.3 del Codice Sportivo Antidoping.
L’ondata è stata enorme, grave e roboante con un riscontro mediatico che, come ogni volta, lascia purtroppo troppo spazio anche alla mala-informazione.
Dire che c’è stata negligenza o comunque leggerezza da parte di atleti è una questione, dire di aver fatto uso di doping è ben diverso.
Molti canali hanno nominato più volte la parola ”doping” e questo crea nel pubblico medio una associazione di idee semplice: atleta più doping uguale dopato. Facile ma non esatto in questo caso.
Per chiarire il più possibile la situazione: Gli atleti sono stati deferiti NON per uso o positività al doping ma per un problema di irreperibilità, in contrasto col sistema ”whereabouts”, con il quale il Coni monitora lo spostamento di ogni atleta.
In tutto ciò, alcuni degli atleti coinvolti in quello che può definirsi uno scandalo hanno deciso con gran forza di metterci la faccia ed affrontare a viso aperto le accuse ma soprattutto i danni d’immagine pervenuti da chi ha subito puntato il dito verso il doping nudo e crudo.
Il veterano Fabrizio Donato ha affidato il suo sdegno alla Gazzetta dello Sport, che lo ha intervistato per carpire il punto di vista dei coinvolti.
In poche ma concise risposte, Donato ha tuonato come gli vengono imputati ritardi di segnalazione anche di poche ore e che il danno d’immagine arrecato a tutta la squadra è enorme, tanto da fargli pensare di finire qui la carriera.
Al triplista azzurro si è accorato anche Alfio Giomi oggi in conferenza stampa, il quale ha dichiarato: ” Mi porto dietro il dramma e la rabbia di molti atleti che mi hanno detto: noi smettiamo, chiudiamo qui. Ma noi della Fidal siamo sereni, su questi atleti ci metto la faccia.” Seduto accanto a Giomi c’era anche lo stesso Donato, il quale ha poi rilasciato le sue parole ai microfoni dei TG: ” Io avrei eluso i controlli? Mi viene da ridere. Sono 10 anni che non vado in vacanza, all’estero solo per le gare. La mia vità è casa, campo di allenamento, casa. Non vedo come possa eludere i controlli.”
C’è chi invece ha affidato le proprie parole e ”rivelazioni” al mondo di Facebook, a volte molto più inquisitorio del resto dei media.
Silvia Salis ha infatti esposto la propria personale spiegazione, esplicando anche come il sistema di localizzazione non funzionasse a dovere per gravi falle tecniche, come per esempio il malfunzionamento dei fax e delle piattaforme informatiche.
Uno stralcio del post enuncia: ” Nella mia vita non ho mai ricevuto ammonizioni riguardo alla mancata comunicazione reperibilità, la mia unica ammonizione ricevuta è stata nell’estate 2014 per un supposto mancato controllo. Ho fatto subito ricorso producendo documenti e dimostrando la negligenza delle altre parti in questione nel reperirmi, e il ricorso l’ho vinto: questo rappresenta il mio unico contatto con la Procura Antidoping in 15 anni di nazionale. ”
Ecco qui il post integrale della martellista.
Innanzitutto ci tengo profondamente a precisare che quella di cui vengo accusata non è una vicenda di doping ma di…
Posted by Silvia Salis on Mercoledì 2 dicembre 2015
Anche il presidente del CONI Malagò si è schierato dalla parte degli atleti, intervistato dalla trasmissione radiofonica Non Stop News su Rtl 102.5 e diffusa anche sulla Gazzetta dello Sport: ” Sulla base di quelli che sono stati gli incartamenti arrivati a pioggia e a singhiozzo, dato il volume dei documenti, dalla Procura di Bolzano dopo le note vicende che riguardavano il caso Schwarzer la Procura nazionale antidoping ha disposto questi deferimenti solo e semplicemente in quegli anni, malgrado nessuno avesse segnalato questo tipo di comportamento anomalo, nessuno aveva nemmeno effettuato un warning, un’ammonizione, un cartellino giallo, e quindi ha dovuto necessariamente predisporre un atto dovuto nei confronti di 26 atleti su un blocco di 65. Questi ragazzi non sono delle persone che hanno barato. L’attuale Federazione Italiana di atletica leggera non solo è totalmente estranea ma per certi versi è totalmente vittima ”
In un mondo come quello dello sport ad alto livello l’ignoranza non è ammesso e questo è chiaro a tutti, ma in questo caso ci saranno da mettere sulla bilancia due tipi di colpe: la negligenza degli atleti e quella delle autorità responsabili del sistema whereabouts. Chi avrà ragione?